Cure palliative, Cure di fine vita
LE CURE PALLIATIVE (a cura di Luca Doniselli)* sono costituite da tutte le pratiche mediche finalizzate a migliorare la qualità di vita del paziente terminale, in antitesi con ogni forma di accanimento terapeutico. Sono cure compassionevoli, sono cure da parte di Medici che non si sentono dei salvatori ma dei semplici servitori. Il Medico non si pone al di sopra del malato, ma si sente un suo compagno di viaggio e condivide con lui un tratto di cammino nell'esistenza. Quando la malattia di un paziente umano non è guaribile il Medico dedica le proprie energie per alleviargli le sofferenze fisiche, per proteggerlo dalla paura, per infondergli consapevolezza e per non farlo sentire solo col proprio dolore. Per fare ciò il Medico veterinario deve operare sia sull'animale che sul proprietario. Le cure palliative sono molto utili quando giunge improvvisa e inaspettata la previsione di una morte imminente (prognosi infausta). In questi casi è importante non prendere decisioni frettolose, come quella di effettuare subito l‘eutanasia, ma dedicare il tempo necessario alla preparazione del distacco. E’ possibile godersi gli ultimi giorni in compagnia del proprio amico animale in modo che il saluto finale non lasci un vuoto incolmabile.
PROGNOSI INFAUSTA (a cura di Luca Doniselli) *
Alcuni pazienti anziani vengono soppressi perché il proprietario “soffre” nel vederli ammalati. Il Veterinario deve far capire alla persona che il diritto alla vita dell’animale prevale sul suo disagio; ciò richiede tempo e pazienza. Alla prognosi infausta a volte segue una frettolosa eutanasia, e il Veterinario si libera da un problema. Tralasciando i casi di scarsa etica professionale dobbiamo chiederci quando termina il compito del Veterinario? Termina al momento della formulazione di una prognosi infausta? Affatto! Finché c’è da prescrivere una compressa o praticare un intervento chirurgico il medico sta “giocando”; ma quando bisogna affrontare la fase terminale di un’esistenza, allora il gioco si fa duro e il Medico deve saper fare il Medico, cioè deve prendersi cura di chi soffre. Il Veterinario deve prendersi cura sia del paziente che del proprietario. Si possono mettere in campo le cure palliative e il sostegno psicologico con compassione e atteggiamento protettivo; ma queste conoscenze non fanno parte del piano d’insegnamento universitario. Dove la competenza del Veterinario non arriva, come per il sostegno psicologico del proprietario, è opportuno consigliare al proprietario di farsi assistere da uno psicologo, oppure fornirgli questo servizio aggiuntivo, come avviene alla Colorado State University. Come sopra accennato, in alcuni casi di prognosi infausta può essere opportuno sospendere le indagini e/o le cure, qualora queste non siano più di beneficio al paziente. Questa decisione è importante per consentire al proprietario di concentrarsi sull'accompagnamento alla morte del suo Animale. Spesso la fase terminale è breve e il tempo è prezioso. Se il proprietario vuole cogliere l’opportunità di prepararsi al distacco ed aiutare l’animale morente deve generare un atteggiamento amorevole e sereno. Dal momento che questo non è un compito facile, deve fare uno sforzo per sciogliere la propria difficoltà emozionale; sforzo che richiede concentrazione. Il Medico deve quindi essere chiaro nel non alimentare false illusioni; al contempo però deve prendersi cura amorevolmente dell’animale e del proprietario. La geriatria è una disciplina affascinante perché mette alla prova le qualità del Medico.
I PAZIENTI TERMINALI (a cura di Luca Doniselli) *Gli animali non umani mostrano raramente un attaccamento spasmodico all'esistenza; quando la morte si avvicina percepiscono il progressivo abbandono delle forze; non si mostrano angosciati dalla ”idea” della morte e si lasciano morire senza dramma e senza particolare paura. Quest’atteggiamento degli animali non umani non è straordinario, ma riflette la minore presenza di sovrastrutture mentali e la maggiore spontaneità. Anche i bambini piccoli vivono la malattia e la morte senza angoscia, ma per gli umani adulti è scandaloso assistere alla malattia e alla morte di un bambino, nonostante questo pensiero non abbia alcun fondamento. Bambini e animali sanno vivere il presente; in questo sta la loro purezza. Se questo è vero, come mai tanti animali vanno incontro ad agonia e vengono soppressi? Il motivo sta nel fatto che hanno un forte attaccamento, non alla vita, ma al loro proprietario e percepiscono anche il forte attaccamento del proprietario verso di loro. La missione, lo scopo di vita degli animali d'affezione è quella di dedicarsi a noi, di proteggerci; vogliono vederci felici e quando stanno morendo continuano a svolgere il compito di protezione; non si lasciano morire se percepiscono che non li lasciamo liberi di andarsene. I proprietari non comprendono che arriva il momento di liberarli dal proprio attaccamento, di ringraziarli e di salutarli. Amare significa dare gioia e libertà; un animale morente ha bisogno solo di gioia e di libertà per potersene andare senza agonia e senza un'inutile soppressione. Non comprendendo questi aspetti il dilemma principale dei proprietari è la prognosi. Sembra indispensabile formulare rapidamente la prognosi; spesso il proprietario la chiede insistentemente ed il Veterinario può cadere nella tentazione di emettere sentenze di morte. Questo atteggiamento è sbagliato perché il decorso della malattia è influenzato non solo da cause persistenti, ma anche da cause contingenti (come lo shock o la chetoacidosi) o da cause passeggere (come reumatismi per variazioni climatiche, errori alimentari, emozioni disturbanti). Bisogna prestare attenzione ad emettere prognosi precipitose, che possono portare all'eutanasia del paziente. Quante volte il decorso clinico smentisce le nostre previsioni! Invece che cercare di fare gli indovini è meglio concentrarsi sul momento presente, alleviare le pene fisiche e l’angoscia del malato e del proprietario mediante le cure palliative. Se indirizziamo la concentrazione del proprietario sul presente interrompiamo il suo schema mentale di angoscia per il possibile dramma futuro e lo tranquillizziamo; inoltre gli consentiamo di godere dell’esistenza in vita del suo animale e non gli facciamo sprecare il poco tempo che potrebbe restargli da condividere. Abbiamo così ottenuto tranquillità e concentrazione nel proprietario; abbiamo allontanato il panico e decisioni precipitose; non è poca cosa. Può poi anche capitare che la situazione critica si risolva ed è un momento entusiasmante, poiché il proprietario non si aspettava che potesse accadere. Cosa può far accadere il “miracolo”? Come sopra descritto potrebbe essere stata la normale evoluzione di una situazione acuta ma passeggera, oppure potrebbe essere stata risolta dalla terapia intensiva, ma c’è da considerare anche il “fattore emotivo simbiotico”. Lo stato emotivo del proprietario condiziona pesantemente quello dell’animale; se il proprietario si tranquillizza è molto più facile per l’animale sciogliere il blocco energetico, il blocco emozionale (in termini occidentali diremmo psico-somatico) che impedisce la “risoluzione” della malattia. In questo modo il paziente può liberare la propria energia vitale, che in Medicina cinese è detta Qi (pronuncia: Ci). Se il paziente ha voglia di vivere e se ha sufficiente energia vitale va incontro ad un recupero sorprendente, perché può utilizzare l’energia che prima era bloccata dalla crisi psico-somatica. Se il paziente non ha più voglia di vivere oppure non ha sufficiente energia vitale si lascia morire rapidamente senza angoscia, perché lasciato libero dal proprietario. Una preoccupazione ricorrente da parte dei proprietari di pazienti critici è quella di evitare sofferenze inutili; quindi chiedono al Medico se l’animale soffre o se soffrirà. In entrambi i casi sopra esposti è possibile assistere i pazienti animali senza timore di una penosa agonia. Tutto ciò è possibile se il Veterinario ha le qualità del Medico e se il proprietario accetta di affrontare la crisi emozionale e libera l'animale dal proprio attaccamento. Se si riesce a “fare squadra” col proprietario, a coinvolgerlo nel processo di cura, facendogli comprendere quanto importante sia il suo atteggiamento emotivo per evitare inutili sofferenze al suo amico animale, allora si può dissolvere la sua preoccupazione, con grande benefico per lui/lei e per il paziente animale.
CASO CLINICO: una signora adotta Camilla una gatta cieca magrissima ed estremamente disidratata appena arrivata dal meridione. La porta dal Veterinario in condizioni comatose e il Collega consiglia l’eutanasia, ma lei decide di fare molti chilometri per avere un secondo parere e tentare una cura. Camilla sembra morta e l’emogasanalizzatore rileva un’acidemia talmente grave da non riuscire a misurare né il pH né i bicarbonati; il termometro non rileva la temperatura corporea, le analisi di laboratorio evidenziano una gravissima insufficienza renale. I Colleghi sono perplessi quando prendo la micia in degenza, ma il decorso di Camilla è sorprendente e dopo una settimana mostra un tale miglioramento clinico che si decide di sospendere la terapia intensiva e di rimandarla a casa dalla sua nuova affezionatissima “mamma”; dopo un anno Camilla sta sempre bene e la Signora Greta scrive un breve articolo sul “Giornale delle buone notizie” in rete, per raccontare la storia di Camilla.
CASO CLINICO: Pimpa, un’anziana Scottish terrier manifesta un tracollo delle condizioni generali; sta malissimo a causa di una peritonite settica (una grave infezione addominale) provocata da un tumore che ha perforato l'intestino. Le indagini cliniche evidenziano la disseminazione della malattia ai linfonodi regionali. La prognosi è infausta. Mi metto a colloquio con la proprietaria per affrontare una situazione estremamente critica. La signora è sconvolta: è legatissima a Pimpa e non si sente in grado di vederla morire o di sopprimerla. La prassi veterinaria non ha una strategia in questi casi, non sa affrontare il tema del fine vita; il Medico considera terminato il proprio compito e la tragedia è tutta lasciata al proprietario; spesso viene consigliata l’eutanasia che non affronta e non risolve la crisi emozionale, ma elimina il problema con una scorciatoia. Provo ad aiutare la signora a concentrarsi nel pochissimo tempo a disposizione per trovare la serenità che richiede il saluto, il ringraziamento e la liberazione di Pimpa, ma senza successo. Decidiamo allora di eseguire un intervento esplorativo. La situazione è complessa poiché il tratto intestinale coinvolto è ampio. E’ possibile solo effettuare un intervento palliativo e la signora mi chiede di procedere. Asporto la porzione intestinale ulcerata ed eseguo un collegamento (anastomosi) per aggirare un tratto ormai occluso (bypass), lasciando i grossi linfonodi infiltrati inoperabili. L’aiuto chirurgo è scandalizzato e non mi risparmia la propria contrarietà, considerando la procedura inutile e di accanimento. Dopo l’intervento Pimpa recupera rapidamente una buona condizione generale; è vivace e gioiosa; la signora è felice, anche se è consapevole di avere poco tempo da condividere con la sua amica. Due mesi dopo si manifesta la ricaduta, ma la proprietaria ora è serena e consapevole; è arrivato il momento di praticare l’eutanasia. So che questi due mesi hanno avuto grande importanza per la signora e per Pimpa.
*(estratto da: Luca Doniselli "L'eutanasia negli animali d'affezione, un atto privato in ambito medico."
Tesi per il Corso di Alta formazione in "Bioetica, benessere animale e formazione medico veterinaria", 2012)